Le
frontiere marittime della Francia, aprendo, sul territorio di questa
nazione e sul suo destino culturale, tre grandi «porte» azzurre in
direzione Sud, Nord e Ovest – verso il Mediterraneo, la Manica e
l’Oceano Atlantico – hanno svolto un ruolo fondamentale sia nella
costituzione di quella realtà che viene chiamata l’«arcipelago» delle
francofonie sia nell’elaborazione delle forme e delle modalità della
loro rappresentazione del mondo. Nel corso dei secoli, l’elemento
marittimo è stato oggetto d’intertestualità multiple e differenti
espresse in lingua francese. Esse evocano i viaggi, le conquiste, gli
scontri, i sogni, le paure, le ossessioni degli uomini, ma pure i loro
incontri e le loro scoperte fino a diventare uno dei luoghi privilegiati
della riflessione francofona sulla diversità. «La grande chose
mouvante»: è così che Pierre Loti definiva il mare affascinante e
terribile dei suoi pescatori di Bretagna, ma anche «i mari sconosciuti»
dove, dall’altra parte del globo, andavano a morire i giovani francesi
per la follia dell’impresa coloniale. Per un felice cambiamento di
segno, la metafora marina della «grande chose mouvante» potrebbe
applicarsi, oggi, a questa lingua in cui – tramite flussi e riflussi,
ondate e derive – convergono e dialogano gli apporti di civiltà antiche e
moderne, vicine e lontane; una lingua mobile e feconda attraverso la
quale si tesse intorno alla Terra, come diceva Senghor, «questo
umanesimo integrale […], questa simbiosi delle energie dormienti di
tutti i continenti, di tutte le razze che si svegliano al loro calore
complementare.»
Rifletteranno su queste tematiche Beïda Chikhi, (Directeur du CIEF – Centre International d’Etudes Francophones,
Paris IV – Sorbonne); Anne Schneider (Université de Caen); Seza
Yilangioglu (Université Galatasaray, Istanbul); Marina Geat (Università
Roma Tre); Nicolas Hossard (CIEF – Paris IV - Sorbonne); Sara Concato
(CIEF – Paris IV-Sorbonne et Università di Salerno). Responsabile
scientifico del convegno Marina Geat, Università Roma Tre